Le Abbadie della Val Varaita,
tra associazionismo giovanile e cultura popolare

con una testimonianza sulle associazioni giovanili dell’alta val Varaita
in un documento del 1772

di Laura Corrado



introduzione

Le badie o abbadie sono associazioni, gruppi  di giovani, che avevano il compito, a volte riconosciuto ufficialmente, di organizzare e gestire il tempo festivo tradizionale, preindustriale, che per tanta parte fa riferimento al mondo rurale. Si tratta di un fenomeno sociale molto diffuso non solo in Italia ma in tutta Europa. 
La badia può essere considerata come una sorta di metafora rituale popolare delle tre più importanti istituzioni che caratterizzano la società : quella religiosa, quella militare e quella politica.
I nomi che identificano la badia e i suoi  ruoli sono mutuati dalla struttura organizzativa dei conventi che popolavano il territorio rurale. Badia, abbadia o abbazia, deriva infatti da abbatia, comunità autonoma di religiosi, mentre il termine abbà, il capo dell’associazione, deriva dal latino abbas che vuol dire abate, il superiore  del monastero. In alcuni casi tutti i  soci dell’associazione sono detti abati ma, generalmente, il termine abbà, abate, ricorre per definire il capo mentre gli uomini della gerarchia rivestono piuttosto ruoli mutuati dal gergo militare, quali portabandiera, alfiere, tenente, sergente ed altre figure di graduati che danno vita ad una sorta di milizia armata.
La funzione di queste associazioni è soprattutto quella di organizzare, gestire e controllare lo svolgimento delle pratiche festive e cerimoniale. Come i monaci “officiano” il tempo eccezionale, come il potere politico e civile fa rispettare le norme che regolano il delicato periodo della pratica festiva collettiva, come i corpi militari ne governano lo svolgimento, così, simbolicamente armati, questi gruppi hanno il compito di controllare che la festa abbia luogo senza  violazioni dell’ordine pubblico e senza incidenti che ne turbino il normale svolgimento.
In alcuni casi le autorità riconoscono alle associazioni virili una vera e propria  funzione di milizia armata, seppur con compiti definiti  nello spazio  e nel tempo, che generalmente non travalicano quello festivo. A volte tale impegno civile e militare si estende a rilevanti e delicati aspetti della vita sociale della comunità ; le badie ad esempio hanno l’onere del controllo dei confini del paese e dell’osservanza degli statuti che regolano la vita collettiva.
L’abbigliamento, a sua volta, non imita tanto le fogge militari e religiose quanto piuttosto un abito connesso al potere politico e civile. Alle milizie rinviano invece le armi che i giovani portano sfilando ritualmente e ne permettono il riconoscimento : l’abbà impugna generalmente la spada, simbolo del potere, e la sua guardia le alabarde.
Le associazioni giovanili, per organizzare le feste, devono disporre di finanziamenti. Come le istituzioni politiche e civili si finanziano con vere e proprie tasse che si applicano durante le pratiche festive e cerimoniali, come i monaci a volte attraverso questue, collette, incanti.
Ci troviamo dunque di fronte ad una figura folclorica che, in qualche modo e con molte varianti, ha un apparato segnico che associa e rinvia alle tre grandi istituzioni in cui il popolo identifica il potere. Questo linguaggio di segni che designa il potere, i n qualche modo tende a legittimare i personaggi del tempo eccezionale e quindi a definire lo status e le funzioni.
Le associazioni giovanili hanno assunto nel corso dei secoli denominazioni differenti quali abbazie o badie degli stolti, di pazzi, degli asini, della gioventù, del malgoverno. I diversi termini con cui vengono definite, mettono in evidenza come questi gruppi abbiano il compito di gestire il tempo alla rovescia, del controritmo che di fatto  non viene accettato dalle istituzioni che governano la società. In questo modo il popolo si è dato un governo “carnevalesco” del tempo che gli compete, che gli è proprio, il tempo dell’eccezione, dei dodici giorni, del carnevale, della quaresima, della pasqua, del calendimaggio, della fertilità primaverile, dei solstizi e degli equinozi, dei riti di passaggio, d’iniziazione, di matrimonio. Un tempo che invade e pervade, occupa le piazze, i sagrati, gli spazi collettivi, un tempo “altro” che il potere non può gestire, che avverte come pericoloso, un tempo in cui il popolo, i contadini sollevano il capo e danno vita a riti, a cerimonie che affondano nel mito e che quindi, paradossalmente, sono legittimate da un tempo che travalica quello storico proprio delle istituzioni.
La badia è stata, nel corso di diversi secoli, un sistema sociale volto all’iniziazione dei giovani nella società e una più vasta organizzazione che favoriva ritualmente il passaggio da una classe d’età ad un’altra. Essa interessa non solo il rito di passaggio alla maggiore età ma tutti i periodi della vita umana. E’ dunque una struttura rituale popolare che in qualche modo accompagna l’uomo nei passaggi più delicati  della sua esistenza. Colui che compie una buona carriera nella badia, col trascorrere degli anni diventa capo, in qualche modo tribale, di un gruppo che ne riconosce l’autorità in quanto legittimata dalla tradizione e dal suo sapere rituale.


il documento

1772, maggio, 31

Disposizione del re di Sardegna per la regolamentazione dell’attività delle Compagnie dei Giovani nelle terre della valle di Casteldelfino.

Illustrissimo signor padron colendissimo
      In forma  S.M. che  nel luogo di Bellino, e nelle altre Terre della Valle di Casteldelfino siavi antica costumanza che la gioventù si raduna armata con stendardi in occasione di solennità di feste di nozze, balli, e simili, e che da questo uso ne possano derivare sconcerti gravi , come appunto siavi luogo e a temerne in Bellino nella imminente ricorrenza della festa del Corpo del Signore, mi ha comandato di significare a V.S. Ill. ma  essere sua regia mente ch’ella tosto chiami a se i Sindaci delle accennate Terre, ed insieme i Capi dei corpi di gioventù e si faccia rimettere i Stendardi soliti portarsi in tali attruppamenti, come pure intimi agli uni,, ed agli altri di non più  adunarsi armati  in veruna occorrenza, salvo di precisa permissione o comando  di  S.M. , che  conseguentemente non si faccia più dalle Comunità  alcuna distribuzione di polveri da schioppo in occasione della festa suddetta , e ciò sotto gravi pene  in caso di  contravvenzione. Siccome codesto Signor Prefetto è pienamente inteso de’ motivi che persuadano  questa pronta provvidenza, sarà bene che V.S. Ill. ma ne concerti con esso lui l ’ eseguimento ; e con distinta divozione  mi riprotesto.

Di V.S. Ill.ma
Torino li 31 di maggio 1772

Div. mo ed obb. mo Servitore
Morozzo
Sig.C.te Reineri di Lagnasco
Maggiore/Saluzzo 

analisi del documento

La carta in esame offre alcuni elementi  di analisi che è bene focalizzare. Innanzitutto la Associazione è definita come “antica costumanza”. È’ certo che , almeno a partire dal Cinquecento, esisteva, nella vicina Val Maira, Associazioni simili con regolari statuti riconosciuti dal marchese di Saluzzo e non è quindi improbabile ipotizzare la loro presenza anche in alta Valle Varaita sebbene il documento in esame sia il più antico, (di una Badia dei Folli a Venasca vi è cenno fin dal 1551 anche se nulla sappiamo della sua organizzazione, il primo cenno della Abbadia di Sampeyre risale al 1698 ), a mia conoscenza. Le Compagnie della Gioventù basavano il diritto all’esistenza proprio su questa antica origine e sul loro riconoscimento da parte della suprema autorità dello Stato, riconoscimento che poteva essere più o meno esplicito ma che è sempre presente quando la documentazione rimasta è notevole. Nella seconda metà del Settecento le associazioni  giovanili , nonostante i ripetuti scontri con l’autorità ecclesiastica e con quella civile, succedutisi a più riprese nei tempi precedenti sono non solo attive ma anche tollerate, e quindi sostanzialmente riconosciute, dal potere politico. Nel caso che stiamo considerando non si parla infatti di soppressione della Gioventù ma solo di regolamentazione della sua attività.

Il documento è una lettera (conservata nella collezione del signor Augusti Peano di Cuneo), con la quale il prefetto Morozzo si rivolge al conte Reineri di Lagnasco, maggiore delle milizie della provincia di Saluzzo, notificandogli  un ordine del re Carlo Emanuele III volto ad ottenere un più  stretto  controllo delle attività delle Compagnie dei Giovani del luogo di Bellino e di altri paesi della valle di Casteldelfino. Il suo interesse è indubbio in quanto si tratta di una delle più antiche testimonianze della esistenza nel territorio ricordato di una di quelle Associazioni giovanili di una di quelle Associazioni giovanili o Gioventù ampiamente diffuse un tempo in tutta l’area piemontese. Di una gioventù del luogo di Casteldelfino si ha notizia negli scritti del Pola Faletti, da essi apprendiamo come questa fosse ancora in vita negli anni trenta del nostro secolo.
Nei documenti della Badia di Sambuco pubblicati da Pola Falletti, di soli otto anni più tardi, il fatto che la Comunità  si faccia portavoce della Badia per ottenerne la conferma dei privilegi dimostra come non vi fossero molti dubbi sulla regolarità della sua esistenza e delle sue prerogative. In quest’ultimo caso però comincia ad insinuarsi, nel giudizio del Governatore  di Cuneo, l’opinione della pericolosità per la sicurezza dello Stato, di una tale Associazione, “un piccolo Status “ ; siamo forse all’inizio di quel giudizio nettamente negativo che di lì a cinquant’anni o poco più darà il Comandante militare della città e provincia di Saluzzo a proposito della Bahìo di Sampeyre  affermando che l’uso, anche antico e la consuetudine introdotta non possono conferire alcun diritto alla loro esistenza e continuazione.
Dal documento che stiamo esaminando apprendiamo, e questo non discorda con quanto già noto, che le Compagnie dei Giovani intervenivano, in occasione di alcuni momenti della vita comunitaria quali nozze, balli e feste religiose (in occasione della festa del Corpus Domini nel luogo di Bellino le donne erano solite ornare ed abbellire le strade percorse dalla processione tenendo sui balconi scialli e fiancheggiandole con lenzuola ornate di immagini sacre e rami di maggiociondolo). 
Si nota inoltre come i membri della gioventù ed i propri capi riconoscano nel Sindaco e nel Consiglio Comunale del  paese di appartenenza un’autorità superiore in quanto rappresentante  del potere centrale, e questo sia nel nostro caso  dove i Sindaci ed i capi delle Abbadie, in rappresentanza delle rispettive Associazioni, vengono convocati dal  Maggiore di Saluzzo, sia  a Sampeyre nel 1698 dove il Consiglio Comunale dirime una controversia insorta all’interno della Abbadia, sia ancora a Sambuco dove, nel 1780, il Sindaco uscente era proposto come  capo della Badia.
Un ulteriore punto di interesse è dato dal fatto che i membri delle Gioventù intervenivano alle feste armati ed inalberando un proprio stendardo. Il valore emblematico della bandiera, simbolo dell’unità del gruppo, nella quale ciascun componente si identifica, è subito colto dall’autorità centrale che ne reclama la consegna, quasi un atto di sottomissione. Si ponga mente al grande significato attribuito alla bandiera dai partecipanti alla Bahio di Sampeyre  e dalla accanita  difesa difesa della consuetudine di inalberarla durante lo svolgimento della festa  contro il parere contrario dell’autorità militare. Come la bandiera anche le armi, il cui sfoggio era un antico privilegio della Gioventù, sono tra i motivi più frequentemente chiamati in causa dalle Autorità per limitare  l’autonomia ed addirittura decretare la soppressione delle compagnie. Al termine di un festa , tra animi eccitati, le armi potevano essere il mezzo ideale per trasformare una situazione tesa in tragedia. Ecco quindi l’ordine “di non più adunarsi armati in veruna occorrenza “ ed il divieto alle Comunità di non più fornire ai componenti della Gioventù la polvere da sparo richiesta. Non sappiamo le conseguenze di questi ordini  nei Comuni della Castellata, ma ancora nel 1838 nella vicina Sampeyre, la Gioventù va  incontro al nuovo parroco con armi e bandiera segno di una consuetudine dura a morire e della quale la carta pubblicata è una preziosa testimonianza.



Altre notizie sulla Bahie della val Varaita

Le Bahie  della Valle Varaita  sono feste rituali che si svolgono verso la fine dell’inverno, pressappoco nel periodo di carnevale.
A differenza di quelle della Valle Maira, che col tempo hanno assunto caratteri religiosi, le Bahie della Valle Varaita hanno conservato caratteristiche laiche e sono in ogni caso indipendenti dall’influenza del clero.
Tra di esse, particolarmente famosa è quella di San Péire, che si svolge ogni cinque anni, con la partecipazione  di centinaia di uomini ; in essa, sia i costumi, sia il percorso, sia gran parte del cerimoniale, sono fissati dalla tradizione e poco spazio è lasciato all’improvvisazione individuale. Tra i suoi vari significati, è particolarmente evidente quello della rievocazione della cacciata dei Saraceni dalla Valle, avvenuta un millennio or sono ad opera di alcuni eserciti di montanari confederati tra loro.
La Beò di Blins , rappresentata per l’ultima volta nel 1958, e recuperata e  riproposta solo quest’anno nel 1999, è stata analiticamente studiata da Matilde Deferre, in essa l’aspetto militare è notevolmente attenuato, mentre prevalgono elementi di antiche feste di carnevale, verosimilmente derivati da riti precristiani di carattere agrario.
La Bahio di Pount, che conservò più a lungo il significato di associazione giovanile, attende che qualche studioso ne raccolga la testimonianza dagli anziani, mentre quella di Chasteldelfin è forse estinta per sempre ( l’ultima rappresentazione avvenne attorno al 1875 ; ma ancora nel 1937 esisteva la compagnia della gioventù, composta dal capitano, dal Tenente e dal Portabandiera, che accompagnava gli sposi in chiesa con la bandiera, il tamburo e canti nuziali) .
Della Bahio di Brousasc ci dà notizia l’Eandi, il quale un secolo e mezzo or sono, così si esprimeva. “...quivi esiste una compagnia od associazione, detta la bajia dal sua capo, che si chiama abà, od abate. Era in prima composta dai capi di famiglia, ed ora lo è pressoché in intiero dai più giovani abitanti in numero di 100 a 150, i quali nella penultima domenica del carnovale si recano sotto la pubblica loggia, ed eleggono un capo ed un sotto-capo, non che una abbadessa, ed una vice-abbadessa. Distribuiscono poscia dodici caldaje di riso ed una di ceci agli abitanti i più poveri, e terminano la loro riunione con un pranzo, e con liete danze. Nel corso dell’anno i membri della compagnia figurano quando vi sono nozze nel paese, od in occasione del passaggio di spose, che si recano nelle terre vicine : in simili congiunture si mettono in ordine, hanno il cappello guernito di nastri, portano l’alabarda e marciano con tamburo battente per rendere onore alla sposa, dalla quale ottengono poi in dono una qualche moneta, che si mette in serbo per le distribuzioni di anzi segnate, pagandosi anche per questo fine da ogni membro una piccola somma al momento della sua accettazione nella compagnia “
Il presente lavoro vuole fare il punto degli studi sulla Bahio dell’Ubac de Fràise, di una zona cioè che fino ad ora è stata lasciata in ombra dagli studi di questo genere ( il territorio del Comune di Fràise viene diviso dal fiume Varacho in due parti : l’Adrech e l’Ubac. L’Adrech, situata alla sinistra orografica, è la parte più soleggiata , mentre l’Ubac, situata alla destra orografica, è più in ombra, anche se in realtà la magior parte delle borgate dell’Ubac sono esposte a levante. All’interno dell’Ubac si possono distinguere : 1) l’Escartoun de San Mourizi, che è formato dalle borgate La Rué Grando, San Mourizi con Lou Norou, La Cassiero, Lou Vitoun con Lou Vitounet ; esse costituiscono l’attuale parrocchia di San Maurizi ; 2) i mmèire e i rué gravitanti su La Vilo de Fràise, il capoluogo, ossia  I Bounin, Méiro La Cà, I Méire di Sart , I Pertus, queste due ultime località sono abitate soltanto più d’estate, con poche case sparse. La  borgata Méira La Cà, che da tempo gravitava prevalentemente su San Mourizi, se ne distaccò al tempo della costituzione dell’omonima parrocchia-1920-
Questa Bahio è indubbiamente più semplice  e meno vistosa  rispetto a quelle dei comuni superiori. Ciò nondimeno essa presenta alcuni elementi particolarmente interessanti  e sicuramente molto arcaici. Si evidenziano in particolare : l’uso di maschere da parte dei personaggi, la recitazione esclusivamente mimata, l’apparente mancanza di gerarchia fra i personaggi , il  rilievo del tutto  secondario attribuito ai personaggi militari.
Elementi caratteristici sono pure. Il numero dei personaggi piuttosto limitato (circa dodici ) , il tono particolarmente allegro, il largo spazio lasciato all’improvvisazione individuale, sia nella preparazione del costume, sia soprattutto nella recitazione. Tutto ciò avvicina maggiormente questa Bahio a quella di Blins, piuttosto che a quelle degli altri comuni della Valle.

E’ necessario distinguere  la  bahio  vera  e propria  dalla  Baio di minée  (= dei bambini ). Quest’ultima è una sorta di imitazione della Bahio, che viene eseguita dai bambini fin verso i 12 anni di età, senza pretese di precisione e rigore nell’esecuzione, ma sicuramente con spirito autentico e profondo.
La vera Bahio viene invece eseguita dagli adulti. Anche in questo caso occorre distinguere tra la Bahio dei giovani e quella degli uomini maturi. La prima viene eseguita dai giovani di età  compresa tra i 15-17 anni ed i 30-35 anni. Vi partecipano in prevalenza uomini non ancora sposati, perché alcuni cessano di fare Bahio in seguito al matrimonio ; non si tratta però di una norma di comportamento, in quanto spesso vi prendono parte anche uomini sposati. La Bahio degli uomini maturi è quella eseguita dagli uomini più anziani, ormai padri di famiglia da alcuni anni, e talvolta ormai nonni. La loro partecipazione non è però esclusiva, in quanto si uniscono a loro un certo numero di giovani, sovente i loro stessi figli.
Per quanto riguarda il sesso dei partecipanti, appare evidente il ruolo minoritario riservato in passato alle donne. Se si tiene conto che nella Bahio bi San Péire il ruolo delle donne  è pressochè trascurabile, si deve comunque ammettere che la situazione di Fràise era meno discriminatoria nei confronti del sesso femminile.Le Bahie di  minée erano e sono miste, composte cioè sia di maschi che di femmine. Quelle dei giovani, fino al 1962, erano invece composte di soli maschi. Questo fatto viene spiegato ricordando le regole morali della società del tempo (la fazio pa ! = non stava bene ! ).
In altre parole, nessuna  norma della Bahio impediva alle ragazze di parteciparvi. Si dice però che i genitori avrebbero rifiutato alle ragazze il permesso e che i ragazzi, consci di ciò  neppure le invitassero. Questa interpretazione  è confermata dal fatto che vi fu in passato  una Bahio alla quale parteciparono numerose ragazze : si trattò della Bahio degli uomini maturi del 1928. Proprio in quell’occasione, qualcuno del pubblico suppose che si trattasse addirittura di una Bahio composta di sole donne : è un segno evidente che questa eventualità, seppure assai remota, veniva tuttavia prevista come possibile.
Non si ha notizia della partecipazione di donne ad altre Bahie degli uomini maturi, forse anche perché si hanno poche notizie di queste Bahie.
Dal 1979 le Bahie degli adulti sono composte sia da uomini che di donne, senza che ciò crei problemi di sorta e neppure particolare meraviglia.

Non vi sono documenti scritti che parlino della Bahio dell’Ubac de Fràise. La prima Bahio di cui si ha sicura notizia orale è quella rappresentata dagli uomini maturi della borgata Lou Vitoun verso la fine dello scorso secolo. Fu una Bahio che rimase famosa per diversi aspetti . Sia prima che dopo la guerra del 1925-18 le Bahie si svolsero regolarmente, grosso modo ogni anno. Nel 1928 si ebbe l’ultima Bahio degli uomini maturi.
Neppure il regime fascista, che aveva proibito ogni manifestazione collettiva non organizzata od autorizzata dal regime stesso, riuscì a impedire o a limitare lo svolgimento della Bahio dei giovani. Si narra infatti di una Bahio che, in pieno fascismo, si recò a La Vilo dal  Mel (= Capoluogo di Melle ), dove visitò tutte le osterie. Si narra pure di una grande festa di carnevale ( che non era però una Bahio ), svoltasi nel 1941, in piena seconda guerra . In quell’occasione, numerosi giovani dell’Ubac de Fraise, tra cui parecchi in licenza militare, ballarono tutta la notte di martedì grasso a Lou  Norou. Poi, verso le quattro del mattino, preceduti dal suonatore Toumalin Rougé, fecero il giro della borgata di San Maurizi. Scesero quindi a valle : alcuni ripartirono per la guerra, mentre gli altri si avviarono a La Vilo dal Mel, per partecipare alla festa dei Manhin che i giovani di quel paese organizzavano il merque ‘scurot (= mercoledì delle ceneri ). Durante il tragitto fermarono persino la corriera con tronchi di legno, per ballare la Countrodanso in mezzo alla strada.
Dopo la seconda guerra mondiale lo spirito della Bahio cominciò ad indebolirsi progressivamente : non furono più rappresentati alcuni personaggi e lo stesso ricordo che oggi si conserva di queste Bahie non è molto preciso. La Bahio del 1962 fu l’ultima, prima del periodo di interruzione.
Dal 1979 la Bahio deo giovani è risorta a nuova vita, perfettamente riuscita nei costumi, nella recitazione, nello spirito degli interpreti e nell’accoglienza manifestatale dalla popolazione dell’Ubac de Fràise.
Della Bahio di minée si hanno notizie sicure da almeno una settantina d’anni, ma quasi certamente era già eseguita in tempi assai più antichi. Essa continua ad essere rappresentata, seppure in tono minore rispetto ad un tempo. Ancora nel 1980 ha visitato le borgate della frazione di San Maurizi, pochi giorni prima della Bahio dei giovani ; la manifestazione, del tutto spontanea, è stata molto simpatica e vivace.
Nella  pubblicazione del Poma si legge che gli Statuti di Saluzzo permettono all’Abate dei folli facere barrerias , cioè la facoltà di aspettare gli sposi ad un luogo determinato, ordinariamente sul piazzale della chiesa, e chiudere loro il passo con festoni di fazzoletti o con corde adorne  di nastri, finché non avessero pagato il gaggio. Così ancora nel secolo XIX- scrive il Savio- vidi praticarsi a Piasco, sebbene ivi fossero scomparse le Badie dei Folli. In certi luoghi la barriera si faceva e si fa ancora a tutte le spose. Quando la sposa, col numeroso corteggio di parenti e di  amici , si avvia verso la casa maritale abbandonando la sua definitivamente, si suole ancora oggi  farle la barriera. Così in Val Varaita come in Val Maira , così in Val di Stura come nel Monregalese e nelle Langhe, si fa la barriera o la barricata : si finge, cioè, di voler impedire  il passo perché non si allontani .  Ad ogni tratto  due o più ragazzi si mettono ai lati della via e tendono un nastro ; per poter procedere  oltre occorre che la sposa recida quel nastro o induca coloro che lo hanno teso ad abbandonarlo, pagando,  o lei o lo sposo o altri del seguito, il diritto di passaggio.
A Sambuco per aprirsi la via, la sposa, a coloro che gliela intercettano , offre un  pacchetto di spilli ; altrove lo sposo dà loro generalmente dei dolci o qualche soldino. La barriera vien fatta  con maggior insistenza e zelo quando la sposa lascia il paese natio per  andare altrove al paese dello sposo.
Allora non basta regalare i ragazzi di qualche piccolo dono, occorre, per esempio a Casteldelfino, pagare a tutti i giovani del paese un pranzo detto  appunto della barriera.
In compenso i giovani (la Badia), guidati dai loro capi cantando e acclamando, si uniscono al seguito degli sposi e li accompagnano sino al confine del Comune. Intanto anche il parroco ha provveduto ai casi suoi, perché alla pecorella  che lascia il suo gregge per andare in un altro, sotto novello pastore, ha fatto pagare ...mezza sepoltura : usanza che esiste non solo nei luoghi dove sopravvive quello della barriera, ma anche altrove, per esempio nel Cuneese e nel  Canavese.

In Valle Varaita, a mio ricordo, scrive il Savio, gli sposi avevano il loro corteggio formato da tutti coloro che portavano la livrea ; ed era questa  un nastro variopinto che regalavasi a parenti ed amici ; gli uomini la puntavano all’abito e le donne ai  capegli ed alle cuffie.
Ai tempi delle Badie, i Folli applicavano queste livree alla loro alabarda. Allude a questa usanza  una di quelle  antiche canzoni piemontesi che oggidì vanno scomparendo, e così terminava :

Fia robeia i lo son pa,
Son dona marideja.
Se ses dona marideja,
Baime su la spa
Che la butreu a l’armeria.

Anche quest’uso era generale di qua come al di là delle Alpi, specie in Provenza. Ne abbiamo un esempio anche a Busano nel Canavese.
 


DOCUMENTI

L’Abadia di Sampeyre, una lettera del 1924
                                                                                                                                    “Sampeyre, 10-9-1924 :
Ecc. mo Signore,

Da tempo immemorabile si celebrano in questo comune le feste della Baija o Badia, le quali hanno luogo ogni cinque, otto, dieci o dodici anni d’intervallo l’una dall’altra. La Baija si fa sempre nel pomeriggio delle domeniche di settuagesima, sessagesima e nell’ultimo giovedì di carnevale detto giovedì grasso.
Essa si svolge con cortei (passeggiate in costume) danze e cene. Con queste feste si vuole commemorare la cacciata dei Saraceni dai nostri paesi.
Non consta da questi Archivi comunali che vi siano memorie antiche sulla Badia. L’unico cenno che si è rinvenuto risale all’anno 1698 inserto nel Registro Ordinati della Municipalità che trovasi nella busta n. 94, fasc, 37, sala grande. Secondo esso certi Pietro Floris e Matteo Rocchietta  (probabilmente gli Abbà dell’Abbadia “ avevano contro li stili  antichissimi di questa Badia introdotto abusi e soprusi pretendendo gioir di supposti privilegi con accompagnare le spose a tamburo battente in isquadra...” per cui si dovette ricorrere all’Ill.mo Signor Marchese Porporato del Piasco perché vi apportasse li rimedi necessari.
Ordine del Corteo : precede la cavalleria che apre il passo al corteo. Poi i Saraceni fuggenti perché incalzati dai nostri. Quindi i Sapeur, zappatori muniti di ascie incaricati di abbattere gli ostacoli che incontrano per via. Seguono le signorine e gli sposi festeggianti la vittoria. I violinisti, i musicanti, i tamburi, i cantinieri, i greci, i turchi (prigionieri ?), i campanari ; poi viene lo stato maggiore cioè i Sottotenenti , i portabandiere, con gli usuart (ussari), gli Abbà o Maggiori, il Segretario col Tesoriere scortati dai soldati Usuart che hanno l’incarico di custodire i tesori...e infine seguono... i vecchi !
La Badia, nell’ultimo giorno, finisce con una scenetta tragicomica. Il Tesoriere lusingato dall’oro lucente che porta nella borsa, tenta di fuggire col suo tesoro, ma, raggiunto dagli Usuart, viene per citazione direttissima condannato a morte...Senonchè alcune signorine mosse a pietà si avanzano frettolose avanti al condannato e ai giudici e ne chiedono la grazia che naturalmente viene concessa. Quindi colla danza del graziato colle sue salvatrici, ed alcune altre vorticose danze collettive, ha termine la Badia. Le trasmetto alcune fotografie relative.

Devotissimo
Giraudo Giovanni
Segretario Comunale

(tratto da “Le gaie compagnie dei Giovani del Vecchio  Piemonte” di G.C. Pola Falletti)


La festa simbolica di Sampeyre nella descrizione di C. Farinetti.

“Sampeyre è una località che desta vero interesse : stando alle cronache dell’Abbazia di Novalesa, nel secolo X la vallata fu saccheggiata da un capo all’altro dai Saraceni e la memoria di tal fatto si conserva tuttavia in una cerimonia drammatica denominata “ la Bajia o l’Abbadia “. La cerimonia si rappresenta l’ultima domenica di carnevale a Sampeyre e fra gli attori vi sono due Saraceni e i Turchi, che vanno intorno con gran sussiego, tenendo in bocca delle lunghe pipe, per indicare che sono maomettiani. La festa è annunziata da una bandiere di seta appesa alla casa  dell’Abbà più vecchio del villaggio. Il consiglio dell’Abbadia è composto dagli Abbà ( i capi delle singole Abbadie), dai loro vessiliferi o luogoteneti, dal tesoriere e dal segretario.
“Nella prima adunanza si eleggono due Tenenti, e questi sono promossi al grado di porta bandiera nella seconda adunanza, a quello di Abbà nella terza e di segretari nella quarta. Le ultime due cariche durano soltanto un anno.
La domenica successiva la Abbadia di Sampeyre va incontro all’Abbadia dei villaggi circonvicini e nuove processioni e nuove danze. Il Giovedì Santo si fa qualcosa di consimile, con questa variante che alle quattro ore circa il tesoriere comincia ad apparire inquieto e cerca di fuggire. Gli usseri gli corrono dietro accusandolo di aver rubato il denaro. Si fa il processo e si condanna a morte il tesoriere. Ma sopravvengono due donne, le quali, impietosite dalle supplicazioni del tesoriere, implorano per lui la grazia. Dopo un po’ di discussione la grazia è accordata e si ritorna a ballare. Frattanto il Consiglio si aduna per l’elezione di due luogotenenti nuovi, in sostituzione del tesoriere e del segretario, usciti di carica. La cerimonia dell’investitura consiste nel porre pubblicamente i cappelli degli Abbà sulla testa dei nuovi eletti. Venuta la sera, si cena e poi si balla fino alle prime ore del mattino”. 



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