Maldissiun d'ra tera

L'osservazione del mondo infantile
in un'espressione del dialetto dell'alta valle dell'Orba




L'alta valle dell'Orba é collacata tra i declivi montagnosi compresi tra il passo del Faiallo e il monte Beigua, incastonata tra le provincie liguri di Genova e Savona e il Piemonte. I centri sparsi, l'ambiente selvaggio e la gente fiera (molti i vecchi segantini che hanno lavorato in Francia a costruire, partendo dall'albero, traversine per la ferrovia, la SNCF) fanno si che si siano conservati intatti alcuni caratteri arcaici, perpetuando il legame con la cultura tradizionale della montagna ligure.
La passione per la cultura popolare e l'amicizia con gli abitanti della valle, gli urbaschi, mi hanno portato a passare lungo tempo a parlare con loro la sera.
Temi riccorrenti delle nostre discussioni intorno ai tavoli del circolo ricreativo, o nelle sere tiepide in piazza o nei dehors dei caffè, quelli più legati alla scansione quotidiana e stagionale della vita, soprattutto maschile: i funghi, il legname, la migrazione, i campi, i conigli, la guerra, i giochi di carte.
Una sera di festa Giorgio, in gioventù boscaiolo in Alsazia, raccontava di molte cose: di come i conigli non lo lasciassero dormire, delle imprese pomeridiane alla fiera e dei suoi figli, ormai grandi.
Parlando dei suoi figli, ricordando di quando erano piccoli, dissè della maldissiun d'ra tera, vista la mia espressione interlocutaria, spiegò a me non urbasco il senso di quelle parole.
Maldissiun d'ra tera è un espressione dialettale urbasca usata da Giorgio per indicare lo stadio evolutivo infantile della conoscenza attraverso la manipolazione e il suono. L'espressione dialettale cioè stava ad indicare quel periodo nel quale i bambini afferrano ciò che li circonda e poi lo lanciano per terra per sentirne il rumore; questa fase evolutiva, così sinteticamente espressa da Giorgio in due parole, oggi la conosciamo attraverso le scienze dell'educazione e del comportamento e da queste mutiamo, anche nel parlare quotidiano, le espressioni linguistiche per definirla, ebbene quella stessa fase ha un suo nome dialettale, nato dall'osservazione dei propri figli, la cosa mi colpì.
Questo piccolo esempio, notato con la deformazione professionale dell'educatore, denota come anche i mondi dell'infanzia e dell'educare abbiano i propri termini significanti nella cultura popolare.
La cultura popolare basa il proprio patrimonio di parole non solo sulla classificazione del reale oggettuale (vizio mentale a cui siamo portati solitamente pensare dalle ricerche demo-etno-antropologiche che spesso si interessano più degli utensili che delle persone), ma anche sulle relazioni dinamiche delle persone e delle cose: termini forti e veri molto più che i complessi, e non sempre condivisi da tutta la popolazione, termini italiani (o di altra lingua nazionale) mutuati, anche per i fatti così immediati come la crescita di un bimbo, da lessici specialistico-scientifici.

 a.r.


NOTA: questa nota é stata scritta nel 1996 sulla base degli appunti presi in valle nelle estati dal 1992 al 1995. Anni in cui grazie al lavoro presso il Circolo culturale e ricreativo "Amici delle Vare" di Vara Inf. ho vissuto a stretto contatto con i vecchi e veri urbaschi.

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