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Gli educatori professionali, i loro saperi
e il modello etnopedagogico degli anelli di conoscenza
 

Il sempre presente e crescente -in relazione ai livelli di professionalità- bisogno di una definizione d'identità per la professione dell'educatore in Italia può trovare, a mio avviso, valore nella condivisione e nel dibattito sui saperi e sul fare propri dell'educatore.
Creando una rete di discussione sulla professionalità educativa partendo "dal basso", da noi.
Altre figure dell'ambito educativo e sociale hanno, magari a parità di formazione e professionalità (molti maestri hanno il diploma e poi chi fa supervisione all'interno della scuola? quanto è coincidente formazione e ruolo -caso italiano dell'entrata nel merito del progetto pedagogico- nell'esercizio della professione A.S.?) una riconoscibilità sociale di gran lunga superiore.
E questo grazie non solo a iter formativi consolidati ma soprattutto grazie ad associazioni di categoria che della cultura e tutela, di categoria appunto, fanno un punto di forza.
Basti pensare a maestri e assistenti sociali.
Ma il nostro è un mestiere, nella sua declinazione educativo-sociale di prevenzione del disagio, giovane e la scarsa riconoscibilità della nostra identità risiede anche nella non consuetudine al confronto tra gli educatori stessi.
Confronto che consenta l’affermazione delle peculiarità del sapere e del fare dell’educatore, del sapersi porre come categoria e non inseguendo altri status finendo con il percepire, e far percepire, il nostro essere educatori come qualcosa di transitorio verso altro: la formazione piuttosto che la psicologia o quant’altro.
A questo punto si possono sollevare un sacco di obiezioni -giustissime peraltro- tipo "ma noi siamo sottopagati e ricattabili". Vero, ma proviamo a ragionare in avanti.
L'Anep può essere un inizio, la sindacalizzazione pure, altre realtà più locali altrettanto. E poi c'è l'idea stessa dell'impresa cooperativa che della partecipazione dovrebbe fare ragion d'essere.
Chi scrive peraltro non brilla per il suo attivismo in questi campi, quello che propongo è piuttosto uno spunto di riflessione sulla possibilità della condivisione della cultura dell'educatore.
Fatta di saperi e prassi.
La costruzione di una rete di saperi condivisi da parte degli educatori può trovare un interessante spunto strutturativo nel modello etnopedagogico degli anelli di conoscenza.
Valdemar Vello, etnopedagogista brasiliano, dice che la strutturazione di un movimento -di pensiero educativo e sociale condiviso-  così come la sua costruzione e ricostruzione permanente è fatta delle attuazioni/azioni continue dei suoi partecipanti ed egualmente della critica possibile che arrivi dai non-partecipanti al processo.
Per la strutturazione, costruzione, ricostruzione permanente del movimento di condivisione il brasiliano Movimento de Etnopedagogia propone l'adozione della strategia degli anelli di conoscenza.
Concetto non dissimile, ed in parte mutuato, dalla rete degli anelli già conosciuta ed applicata in ambito informatico con il Webrings di internet.
Anche in questo caso si tratta di riunire i contributi disponibili in una grande rete -gli educatori- punteggiata di links (collegamenti) -gli ambiti di lavoro e scambio-.
Questa rete forma un tessuto cognitivo, con le proprie trame e colororazioni distinte ma affini, fino a divenire mosaico di sapere condiviso.
Per i colleghi brasiliani, anche rifacendosi ad Edgar Morin e al suo lavoro sui modelli della complessità, l'orditura della rete degli anelli di conoscenza è offerta dall'antropologia culturale, scienza maestra dei paradigmi della complessità.
L'approccio di etnopedagogia attraverso il disvelamento dei modelli e dei metodi e con l'azione di scoperta di nuove stutturazioni possibili permette la costruzione di una rete dinamica di condivisone dei saperi dell'educatore tale da costituire una buona base per l'affermazione dell'identità professionale del mestiere educativo-sociale.
 

a. roveda

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