Per
un’analisi delle filastrocche
“Vi sono zone della letteratura popolare dove lo studioso ha ancora ritegno ad addentrarsi, perché conservano quel caratteristico aspetto, caotico e magmatico, dei terreni vergini, non ancora sottoposti a quell’opera di metodico e progressivo dissodamento che rende ormai familiari e sicuri altri campi, come la fiaba e il canto, e produttivo e fruttuoso il
percorrerli.
Il repertorio infantile permane per la massima parte terra nunc incognita, funestata da incursioni bizzarre e da rinunciatarie prudenze”
1. le filastroccheGlauco Sanga
2. i generi
letterari del folklore infantile
2.1 cantilene e canti fanciulleschi
2.2 ninne nanne
2.3 conte e canti di gioco
2.4 giaculatorie ed echi
religiosi
2.5 indovinelli
2.6 echi di canzone popolare
3. le funzioni
3.1 funzione di sostrato:
inculturazione e socializzazione
3.2 funzioni d’uso: ludica,
ricreativa e didattica
3.3 la funzione educativa
complessiva
4. alcuni
aspetti d’analisi
4.1 il contributo di Silvia
Goi
4.2 il contributo psicanalitico
e l’interpretazione simbolica
1. Le filastrocche
Occupandosi di testi letterari del folklore
infantile è facile incontrare raccolte, anche dettagliate di documenti,
ben più raro trovare autori che inquadrino e analizzano i materiali
presentati; se per la fiaba questo non è più vero, basti
pensare a Thompson, Luthi e Propp, per le filastrocche il panorama diventa
desolante.
Sanga, che abbiamo già citato in
apertura, centra perfettamente la questione, della specificità e
dell’analisi dei materiali, nell’introduzione al libro di Silvia Goi Il
segreto delle filastrocche (Xenia, Milano 1991):
Il genere della filastrocca è oscurissimo, tanto da non essere delimitabile come genere se non all’ingrosso e con continue incertezze. Una definizione formale è assai difficile, perché entra continuamente in contatto con i generi contermini: la filastrocca viene eseguita con una recitazione ritmata, ma può essere anche cantata; non ha caratteri formali tali che la possano distinguere dal gioco infantile e dalla conta, o dalla preghiera, o dallo scongiuro. Sul piano semantico, sembra alla nostra coscienza che la filastrocca si caratterizzi solo in negativo, come testo nonsense. Questa impressione è del tutto fallace, e sottolinea solo la distanza culturale tra noi e i testi di letteratura popolare che non comprendiamo più; d’altra parte è difficile da rimuovere finché non si propone una qualche credibile ipotesi di lettura.
La difficoltà di definire la filastrocca
non è risolta da queste righe ci pare però che tentarne una
definizione permetta, delineandone i confini, pur approssimativi, un più
facile approccio interpretativo ai materiali proposti.
La filastrocca, tentando la via della
definizione formale, è:
-
un testo di poesia popolare,
-
prodotto o conosciuto dai bambini di una data cultura popolare,
-
legato al mondo infantile della cultura popolare di riferimento, cultura
alla quale si informa nei contenuti e nei valori, anche inconsci e di sostrato,
-
usato
dai bambini o con loro, dagli adulti, con funzioni (insegnamento, intrattenimento,...)
e in generi (ninna nanna, conte,...) vari
nonostante la varietà di generi
e funzioni, è in definitiva:
un testo, per
lo più breve, d’uso o destinazione infantile con spiccate connotazioni
ritmiche.
Definita la filastrocca vediamo ora i vari
aspetti e funzioni nelle quali si manifesta.
2.
I generi letterari del folklore infantile
La filastrocca o in generale, e con definizione
più pedante, i testi ritmici infantili, come accennato, si manifestano
in varie forme letterarie legate spesso, più che alla struttura,
all’ambito d’uso e destinazione. Incontriamo così testi ritmici
legati al gioco, altri al prendere sonno, altri d’intrattenimento, altri
più oscuri, altri eco di generi letterari adulti, tentiamo comunque
una classificazione dei vari generi letterari del folklore infantile fornendo
qualche informazione sui diversi tipi. L’analisi delle funzioni la vedremo
invece più avanti.
2.1 cantilene e canti fanciulleschi
Con cantilene e canti fanciulleschi definiamo
la maggior parte delle filastrocche, quelle dall’apparente struttura non
sense e dalla generica funzione d’intrattenimento; molti di questi testi
ritmici, come evidenziato dalla Goi, pescano i loro temi direttamente dalle
credenze e da antichi retaggi delle culture popolari.
2.2 ninne nanne
Tra i vari generi dei testi ritmici infantili
le ninna ninne sono quelle che sono state maggiormente indagate.
A proposito della ninna nanna Tito Saffioti,
nel libro Le ninna nanne italiane (Einaudi, Torino 1994) al quale rimandiamo
per approfondimenti, dice:
La funzione primaria della ninna nanna è ovviamente quella di indurre al sonno il bambino grazie a una reiterazione ritmica e melodica che tende a introdurre un effetto ipnotico, secondo un procedimento che richiama l’antico rito dell’incantamentum. A questa prospettiva contribuiscono sia l’aspetto melodico sia quello verbale fortemente ripetitivi e sostanzialmente monotoni.
Una seconda funzione, certo non meno importante, è quella di acculturazione linguistica e musicale del bambino: questi infatti stabilisce il suo primo contatto con la musica e con la realtà che lo circonda proprio attraverso la voce della madre e delle donne di casa.
2.3 conte e canti
di gioco
In questo genere rientrano i testi che
accompagnano, presentano o sono funzionali (ad esempio le conte) allo svolgimento
di un gioco.
2.4 giaculatorie e echi religiosi
Giaculatorie, scongiuri, temi religiosi
entrano spesso nei testi del folklore infantile.
E' esemplificativo il testo Santa Barbara
e San Scimun della tradizione ligure, ma eco religiosa compare chiaramente
anche altrove, basti pensare all'altrettanto ligure ciove bagnove.
2.5 indovinelli
Gli indovinelli fanno parte del patrimonio
folklorico infantile e possono rientrare tra i generi della filastrocca
per la struttura ritmica oltre che per vicinanza letteraria e funzionale.
2.6 echi di canzone popolare
Il patrimonio della letteratura infantile
si arricchisce talvolta di temi mutuati da quella degli adulti, introiettando
e utilizzando, cosa resa più facile nelle comunità ancora
caratterizzate da famiglie allargate e quindi con maggior scambio fra le
generazioni, canzoni, o parti di queste, solitamente legate ad una fruizione
più adulta.
3. Le funzioni
Con funzioni intendiamo le specifiche interne alle filastrocche, ossia quale ruolo e quale funzione svolgono le filastrocche, e i suoi vari tipi, all’interno della cultura popolare.
Possiamo distinguere:
una funzione di sostrato,
le funzioni d’uso
e la funzione complessiva
(strettamente legata a quella di sostrato).
Funzione di sostrato è la finalità
comune del genere filastrocca e la progettualità culturale affidatale
da una data comunità per la condivisione del sistema di regole e
valori (in antropologia diremmo socioetnemi e idioetnemi) con le nuove
generazioni della comunità stessa. Questa funzione la chiamiamo
d’inculturazione e socializzazione.
Funzioni d’uso sono le modalità
e le finalità contingenti delle filastrocche; possiamo dividere
le funzioni d’uso in tre macro tipi: ludiche o di gioco, ricreative o d’intrattenimento,
didattiche o d’insegnamento.
Funzione complessiva, ci pare con l’analisi
etnopedagogica, è la risposta in divenire della funzione di sostrato;
quindi da una funzione d’inculturazione a una funzione d’educazione.
Vediamo nel dettaglio le varie funzioni.
3.1 funzione di sostrato: inculturazione e socializzazione
Le filastrocche sono uno dei molti strumenti
che la cultura popolare, come comunità e come famiglia, ha per relazionarsi
con le nuove generazioni, i bambini, insegnando loro i valori e le regole
della cultura popolare di appartenenza.
Questo processo va sotto il nome di inculturazione
o socializzazione; i due termini sono mutuati, il primo, dalle scienze
demo-etno-antropologiche, il secondo, dalla sociologia.
Le cantilene dell’infanzia svolgono in
questo senso una funzione di sostrato informando complessivamente l’educazione
delle nuove generazioni.
Vediamo cosa scrive a proposito dell’inculturazione
Bernardo Bernardi, antropologo italiano, nel manuale Uomo Cultura Società
(Franco Angeli, Milano 1993, 15ª ediz.):
Il processo educativo per cui i membri di una cultura vengono resi coscienti e partecipi della cultura stessa si dice inculturazione.
L’educazione investe tutta la cultura gli idioetnemi e i socioetnemi.
In altre parole, con l’inculturazione si informa e si forma la visione mentale dell’uomo e si orienta il suo comportamento.
Vediamo invece cosa dicono i sociologi,
con Ian Robertson (Sociobiology; Worth Publ. 1981; ediz.ital.: Sociologia;
Zanichelli, Bologna 1984), sulla socializzazione:
La socializzazione è il processo di interazione sociale attraverso il quale gli individui acquistano la loro personalità e apprendono i modelli di comportamento della loro società. (...). Attraverso la socializzazione l’individuo apprende le norme, i valori, il linguaggio, le abilità, le credenze e gli altri modelli di pensiero e di azione che sono essenziali per la vita sociale. E attraverso la socializzazione la società si riproduce sia biologicamente sia socialmente, assicurandosi la continuità da una generazione all’altra.
Il tema dell’inculturazione o, pedagogicamente,
dell’educazione informale e permanente pensiamo sia la funzione di sostrato,
e prevalente, della maggior parte della comunicazione intra- e inter- generazionale
passante attraverso la letteratura infantile popolare in generale, e delle
filastrocche in particolare. Anche senza esplicitarsi la funzione inculturativa
della filastrocca è agita all’interno della dinamica comunicativa
e affettiva.
3.2 funzioni d’uso: ludica, ricreativa e didattica
La funzione di sostrato passa attraverso
tutti i testi ritmici infantili i quali però si manifestano, oltre
che in generi letterari come già visto, con funzioni d’uso contingenti.
Le funzioni d’uso contingenti determinano
il modo e la forma con le quali i testi vengono presentati o usati.
Principali funzioni d’uso sono le seguenti:
ludica o di gioco, cantilene che accompagnano
gioco e espressioni ludiche in generale;
ricreativa o di intrattenimento, filastrocche
dette in vari momenti della vita sociale, alcune con intento soltanto di
divertimento altre con compiti più precisi, far addormentare o distrarre;
didattica o d’insegnamneto, cantilene
dette intenzionalmente, ma talvolta introdotte con semplice intento intrattenitivo,
per insegnare qualcosa al bambino, ad esempio le dita delle mani.
Talvolta livelli di funzione differente
sono presenti all’interno della stessa filastrocca.
Un indovinello, ad esempio, risponde pressoché
a tutte le funzioni d’uso.
Altro esempio: la cantilena dell'alta
valle dell'Orba diu marmellu anche
essendo detta a scopo d’intrattenimento, si manifesta come gioco fatto
con le mani e in conclusione insegna a distinguere e nominare le varie
dita della mano
3.3 funzione educativa complessiva
Le filastrocche, come molti altri aspetti
del folklore infantile, hanno una funzione complessiva di tipo educativo,
servono cioè allo sviluppo delle nuove generazioni in senso fortemente
dinamico; spingendo, la propria funzione, da fattore d’inculturazione a
fatto educativo autonomo.
L’inculturazione è infatti, come
già visto, l’educazione alla condivisione delle norme e dei valori
sociali; mentre l’educazione, in senso pieno, pedagogico e autonomo, è
già dinamica verso lo sviluppo e l’autonomia dell’individuo.
Anche gli antropologi riflettono su questo
aspetto dell’educazione, che loro continuano a trattare come inculturazione,
Bernardi, dal testo già citato, dice ad esempio:
L’informazione nutre la coscienza e il bambino, da creatura del tutto dipendente, diventa persona responsabile e autonoma (da child neutro diventa he o she personale).
I modelli e i valori culturali, come s’è visto, non vengono recepiti passivamente bensì servono a suscitare il suo giudizio critico. (...).
É importante notare che l’inculturazione, nella stessa misura che è trasmissione della cultura stabilita dai padri (establishment), è anche mezzo di critica, cioè di scelta che importa adesione conformistica o, all’estremo opposto, rifiuto innovatore.
Gli aspetti educativi dell’inculturazione
permangono attivi per tutta la vita, pur evidenziandosi ed avendo struttura
portante soprattutto nell’età infantile, quando la famiglia, e più
in generale la comunità, si fanno più esplicitamente carico
di questi aspetti .
Bernardi a questo proposito scrive:
Il processo inculturativo informale si avvera continuamente lungo tutta la vita. (...).
Il fenomeno si coglie con maggiore evidenzia nel periodo dell’infanzia quando il bambino viene educato a essere uomo nell’ambito della famiglia e dei gruppi dei coetanei. (...).
Il compito essenziale della famiglia è quello di dare al bambino una forma di vita, un etnostile, cui conformarsi come punto di riferimento non fosse altro che per superarlo e negarlo.
... il bambino impara chi è, che cosa vale, che cosa deve fare per diventare uomo maturo.
La funzione educativa complessiva del
folklore infantile è evidenziata anche da un altro studioso italiano,
il Lanternari, che in Giochi e divertimenti (in: V.L. Grottanelli- Ethnologica,
vol.III; Milano 1966) dice:
...i giochi infantili e tradizionali imitano, per diporto spontaneo e libero, modelli di attività, strumenti, riti, comportamenti che fra gli adulti sono già in vigore con funzioni complesse...
e ancora:
...i fanciulli compiono anche, in tono parodistico e con coscienza di una finzione, sebbene con atteggiamento serio, azioni che imitano i riti adulti...
L’analisi degli aspetti antropologici,
sottostanti e permeanti i processi educativi, e la riflessione
etnopedagogica,
sulle funzioni di trasmissione culturale sviluppate dai vari sistemi sociali,
sono strumenti di recente acquisizione per le scienze dell’educazione.
Molti studi, fin dalla nascita delle moderne
scienze demo-etno-antropologiche, possono essere ricondotti ad aspetti
d’analisi educativa, come ad esempio i classici I riti di passaggio
di Van Gennep e L’adolescenza in Samoa della Mead; ma solo
nel 1968, in seno all’Associazione Americana di Antropologia, nacque un
Consiglio specificatamente dedicato allo studio dell’antropologia dell’educazione,
e qualche anno dopo vide luce anche la rivista di questo organismo.
Antropologia dell’educazione e etnopedagogia
sono a nostro avviso utilissimi strumenti per cogliere le funzioni educative
sviluppate dalle culture popolari; in italiano consigliamo la lettura dei
recenti Antropologia culturale e processi educativi (di Matilde
Callari Galli; La Nuova Italia, Firenze 1993) e Antropologia dell’educazione
(a
cura di Francesca Gobbo; Unicopli, Milano 1996).
La funzione educativa complessiva delle
filastrocche, e in generale degli aspetti di folklore infantile, non si
limitano però solo alla dimensione sociale e demologica, come fatto
d’inculturazione e socializzazione.
La filastrocca, ad esempio, contribuisce
allo sviluppo del linguaggio nel bambino, e sappiamo bene come questo aspetto
influisca sulla crescita complessiva dell’individuo, avendo ricadute psicologiche
e sociale di non poco conto.
A proposito dell’importanza delle cantilene
infantili nello sviluppo del linguaggio e della persona Roberto Goitre
e Ester Seritti (Canti per giocare; Suvini Zerboni, Milano 1983) scrivono:
Il bambino, fin dai primi giorni di vita, riceve le prime informazioni di linguaggio verbale per mezzo dell’ascolto ripetuto e costante di lallazioni verbali (...) di facile ricezione, di elementare accezione e di semplice imitazione basata su ripetizione ritmica (le stesse consonanti) e melodica (le stesse vocali). A poco a poco, con il trascorrere dei mesi, dalla fase dell’ascolto il bambino passa a quella dell’imitazione sempre più precisa dei suddetti fonemi, (...) fino a pervenire in breve tempo alla terza fase, quella della creatività elementare... (...).
Se l’apprendimento del linguaggio verbale trae la sua origine dall’ascolto delle prime lallazioni verbali, l’apprendimento di quello musicale trova il suo riscontro nelle prime lallazioni cantate che fanno parte del patrimonio musicale, sociale, ambientale, linguistico e dialettale, storico ed etnico del popolo.
Quali potrebbero essere per noi italiani queste lallazioni musicali? Senza dubbio alcune ninna nanne di struttura elementare.
La percezione e il conseguente sviluppo
verbale, musicale e complessivo delle abilità del bambino passerà
poi attraverso tutti i generi della letteratura infantile popolare, fino
alla condivisione di temi derivati dalle canzoni popolari degli adulti,
ed attraverso altri aspetti del folklore infantile.
Sulla base di quanto finora detto ci pare
di poter concludere chiaramente che la filastrocca, e in generale il folklore
infantile, assolva una funzione educativa complessiva nell’ambito delle
culture popolari.
4.
alcuni aspetti d’analisi
4.1 Il contributo di Silvia Goi
Abbiamo visto i generi e le funzioni della
filastrocca introducendo aspetti di riflessione sulla portata anche pedagogica
dei testi del folklore infantile. Ora cerchiamo di addentrarci più
in profondità nella struttura stessa dei testi, cogliendo se possibile
i temi originari e simbolici di questi materiali.
Importante lavoro, già più
volte citato, per quest’opera di analisi profonda è il libro di
Silvia Goi Il segreto delle filastrocche, dove l’autrice, con metodo
e risultati originali, offre spessore alle ricerche di genere, slegandole
da una dimensione di semplice raccolta e testimonianza.
La Goi rinuncia all’analisi dei generi
e delle funzioni centrando invece l’attenzione sugli aspetti interpretativi,
evidenziando le figure psicologiche e letterarie archetipiche e i profondi
legami della cultura popolare (perpetuatisi nei secoli e nelle vicende
storiche) con modelli mitico-religiosi-culturali molto antichi, spesso
precristiani.
Figure e modelli che riaffiorano, ad una
attenta lettura, attraverso i testi di letteratura popolare in esame; fornendo
a noi una nuova chiave di lettura e interpretazione delle filastrocche.
In realtà, accettando metodo e
risultati dell’autrice, la chiave di lettura dovrebbe essere più
aderente all’idea creatrice originaria; quindi paradossalmente non nuova
ma antica.
La Goi per fare quest’analisi utilizza
un metodo basato su:
un criterio comparativo (che ha modelli
in Franzer e Propp),
un criterio associativo (Freud),
un criterio distribuzionalistico (equivalenza
tra elementi comuni in varie sedi).
L’autrice ritiene gli aspetti funzionali
successivi e pensa che l’arcaicità costruttiva della filastrocca
e la sua intrinseca gratuità, cioè slegata da contesti dedicati
che l’autrice pensa introdotti posteriormente, facciano della filastrocca
“canti calendariali”, legati cioè alla scansione dei ritmi biologici,
religiosi e produttivi delle comunità.
I temi della calendarialità trovano
conferma nei cicli di filastrocche legate al Carnevale o ai tempi agricoli
e nelle figure simboliche universali, quali la Vecchia; i vari piani interpretativi
(religioso, produttivo, simbolico) paiono peraltro spesso connessi se non
addirittura sovrapposti.
4.2 Il contributo psicanalitico e l’interpretazione simbolica
La Goi, come visto, utilizza come strumento
d’analisi, tra gli altri, il metodo associativo traendo dal Freud di Interpretazione
dei sogni il proprio modello.
Noi, in questo lavoro, cercheremo di introdurre
altri contributi psicologici e interpretativo simbolici che, a nostro avviso,
possono offrire al lettore nuovi spunti di riflessione sulle filastrocche,
sulla loro origine , struttura e funzione.
La filastrocca, e con questa ogni testo
di letteratura popolare, si manifesta attraverso forme che utilizzano,
spessisimo, personaggi, animali e contesti a forte valenza simbolica.
La lettura di testi ritmici infantili
popolari attraverso il disvelamento dei simboli che contengono può
essere quindi una delle strade d’analisi.
Lo psicologo , e padre della psicologia
analitica, Carl Gustav Jung a proposito del simbolo, in L’uomo e i suoi
simboli (Longanesi & C., Milano 1980) dice:
ciò che noi chiamiamo simbolo è un termine, un nome, o anche una rappresentazione che può essere familiare nella vita di tutti i giorni e che tuttavia possiede connotati specifici oltre al suo significato ovvio e convenzionale. Esso implica qualcosa di vago, di sconosciuto o di inaccessibile per noi. Per esempio, molti monumenti cretesi sono contraddistinti dal disegno della doppia ascia. Si tratta di un oggetto che ci è familiare ma di cui non conosciamo le implicazioni simboliche. Per fare un altro esempio, prendiamo il caso di quell’indiano che, dopo aver visitato l’Inghilterra, tornato in patria raccontò ai suoi amici che gli Inglesi venerano gli animali dal momento che egli aveva trovato aquile, leoni e buoi nelle vecchie chiese che aveva visitato. Egli non sapeva, né lo sanno molti cristiani, che questi animali simboleggiano gli Evangelisti e derivano dalla visione di Ezechiele e che questa, a sua volta, ha un’analogia con la divinità egiziana del sole, Horus, e i suoi quattro figli. Ci sono poi altri oggetti, come la ruota e la croce, che sono conosciuti in tutto il mondo e che tuttavia hanno un significato simbolico in certe particolari condizioni. Ciò che essi simboleggino di preciso è ancora materia di controversia.
Perciò una parola o un’immagine è simbolica quando implica qualcosa che sta al di là del suo significato ovvio e immediato. Essa possiede un aspetto più ampio, “inconscio”, che non è mai definito con precisione o compiutamente spiegato. Né si può sperare di definirlo o spiegarlo. Quando la mente esplora il simbolo, essa viene portata a contatto con idee che stanno al di là delle capacità razionali. La ruota può condurre i nostri pensieri al concetto di sole “divino”, ma a questo punto la ragione deve ammettere la propria incompetenza: l’uomo è incapace di definire un essere “divino”. Quando, con tutte le nostre limitazioni intellettuali, noi chiamiamo qualcosa “divino”, non abbiamo fatto altro che attribuirgli un nome che al massimo può esser fondato sopra un credo, non su prove di fatto.
Poiché ci sono innumerevoli cose che oltrepassano l’orizzonte della comprensione umana, noi ricorriamo costantemente all’uso di termini simbolici per rappresentare concetti che ci è impossibile definire o comprendere completamente. Questa è una delle ragioni per cui tutte le religioni impiegano un linguaggio simbolico o delle immagini.
Jung, come la Montefoschi che tra poco
vedremo, nel proprio scrivere si rifà ovviamente alla pratica clinica,
centrando quindi la propria attenzione sull’individuo-uomo e non sul colletivo-umanità,
ma, e la Montefoschi si pone già esplicitamente in quest’ottica,
il passaggio dal particolare-individuale all’universale-colletivo (o sociale)
non può che essere chiaramente conseguente.
Conseguenza che offre spunto anche per
l’interpretazione della filastrocca, che in questo senso è un testo
poetico popolare espressione simbolica di un universale umano che diventa
poi specifico, e quindi particolare, cultura per cultura, comunità
per comunità.
Daryl Sharp, nel suo Glossario di termini
junghiani compreso nel libro di Marie-Lousie Von Franz Tipologia
psicologica (RED, Como 1988), a proposito del pensiero dello psicanalista
svizzero dice
alla voce Simbolo:
la migliore espressione possibile per qualcosa di sconosciuto. Il pensiero simbolico non è lineare ed è controllato dall’emisfero destro del cervello; è complementare al pensiero logico, lineare, controllato dall’emisfero sinistro.
Silvia Montefoschi, psicanalista italiana
allieva di Ernst Bernhard, esponendo il pensiero di Jung sul simbolo, nel
suo libro C.G.Jung un pensiero in divenire (Garzanti, Milano 1985),
dice:
I simboli indicano pertanto quei momenti della dialettica specificatamente umana, in cui tesi e antitesi, si risolvono in una sintesi. Indicano, additano, propongono, e non codificano dei fatti già dati; i simboli prospettano delle vie, non segnano tappe già superate dal cammino dell’umanità, come invece fanno i segni.
E qui l’interpretazione diviene già
motore analitico di cambiamento e superamento.
La psicanalista continua poi, a pagina
26 e 27 dell’opera citata, un’interessante analisi del simbolo come momento
conoscitivo, momento conseguito di un sapere che porta però già
in sé tensione e creazione di un nuovo sapere.
La filastrocca e la letteratura popolare,
come insieme simbolico e forma espressiva veicolante dell’inconscio collettivo,
trova in quest’ottica interpretativa valide opportunità analitiche.
La Montefoschi ci pare confermare, quanto
finora detto, in Dialettica dell’inconscio (Feltrinelli, Milano
1980) dove scrive:
...è l’inconscio collettivo il vero canale di comunicazione con l’umanità, che va al di là dello spazio e del tempo contingenti.
E ancora:
La trasformazione è il passaggio dalla modalità immediata di rapportarsi al mondo a quella della mediazione simbolica, il che vuol dire riflessione.
Questa trasformazione e riflessione
è quella che Grazia Apisa Gloria, pedagogista e psicanalista allieva
della Montefoschi, chiama “nuova logica del reale” e ne indica il metodo
nel capovolgimento di logica. Capovolgimento di logica dove, l’Apisa dice,
la coscienza deve mettersi in ascolto in quanto “sul piano della ratio,
infatti, tutto è già stato detto”, in questo modo “il modello
della psicanalisi viene a coincidere con il processo di umanizzazione”
ricollocando “la psicanalisi nel cuore della filosofia, quale prassi dialogica
vivente”. Le citazioni sono tratte dal libro di Grazia Apisa Gloria Il
linguaggio dei sogni (Nuova editrice genovese, Genova 1994).
Abbiamo soffermato l’attenzione, forse
spingendoci fino a terreni esclusivamente del dibattito psicanalitico,
sul lavoro della Montefoschi e dell’Apisa Gloria perchè pensiamo
che questo indichi un valido tracciato d’interpretazzione pscicologica
e antropologica, in senso filosofico, anche dei materiali di letteratura
popolare presi in esame.
La filastrocca è infatti, come
già visto, un testo di poesia popolare e l’Apisa Gloria ha posto
al centro di molti suoi scritti una lettura del linguaggio poetico come
evoluzione della coscienza.
La pscicanalista nel suo libro Senza
traccia (Golden press, Genova 1995) dice che attraverso il linguaggio
poetico e la visione del poeta:
Diviene possibile conoscere e comunicare ciò che è altrimenti impossibile.
Quando si è nella dimensione dell’assoluto e dell’eterno diviene possibile parlare dell’impossibile.
Ma questa dimensione dell’assoluto si dà nel linguaggio del poeta e diviene salvezza dalla perdita di senso in quanto si pone come il senso.
Il poeta è il parlante.
E di chi parla? Di sé e cioè dell’assoluto in quanto umano e in quanto oltre l’umano, se l’uomo è già in quanto poeta portatore di questo assoluto, consapevolmente o no, anche se non lo ha teorizzato in modo esplicito.
Il poeta è colui che “vede” e il suo vedere si situa in una dimensione al di là dello spazio e del tempo, anzi un momento particolare diviene per il poeta momento estatico e in quanto tale universale.
Questo ci pare ancor più vero
se pensiamo alla filastrocca come opera poetica non di un uomo-poeta
ma di una comunità-poeta, entrando quindi già in una dimensione
sociale e universale di per sè, anche prescindendo dalla portata
creativa.
La filastrocca in qualche modo si dà
già oltre il tempo e lo spazio, in quanto, come già accennato,
non creazione identificabile in un uomo e in un tempo, ma creazione e patrimonio
poetico collettivo. Patrimonio poetico collettivo che si autorigenera nel
tempo e nello spazio, attraverso la voce dei suoi narratori con le loro
varianti e il loro diffonderla e diffondendola offrendo opportunità
di nuova creazione, tanto che in luoghi anche lontani troviamo varianti
di una stessa matrice, che si è differenziata in relazione ai patrimoni
particolari mantenendo però struttura universale.
La filastrocca è quindi matrice
universale che si riconfigura nelle varie comunità facendosi particolare,
ma rimanendo monito e tensione dell’universale.
NOTA
Questo testo è un'elaborazione
per il web della parte analitica di un libro, ancora inedito (ma disponibile
in rete),
intitolato
Daula
daulagna, filastrocche e cantilene infantili dell'alta valle dell'Orba.
Ricerca curata da Anselmo
Roveda partendo da un lavoro delle scuole di Urbe (SV)
Un lavoro effettuato nell'anno
scolastico 1994-95 dalle scuole di Urbe e che ha interessato le classi
4ª e 5ª della scuola elementare e la classe 1ªB della scuola
media.
La ricerca scolastica si
chiama Filastrocche del nostro paese
ed è compresa nel dattiloscritto Va dove ti
porta il ritmo, lavoro delle Scuole di Urbe che raccoglie varie
esperienze didattiche.